Il dolce

Quest'oggi mi devo incontrare con una persona in centro, alle quattro e mezza, ed io sono già fuori per la città con le gambe che avanzano da sole senza che io sappia dove.
All'appuntamento mancano ancora due ore ma io non me la sento di tornare a casa, pranzare, e uscire nuovamente per poi ritornare nello stesso identico punto di prima, la sola idea di avvicinarmici mi preme così tanto da darmi il nervoso; se potessi rimarrei in giro per tutte le ore del giorno, ma ovviamente non posso o per meglio dire non riuscirei ad esaudire questa mia voglia vaga e momentanea, un desiderio frivolo che non ha alcun fondamento per esistere.
Ma se non torno a casa vuol anche dire che devo andare a procurarmi da mangiare da qualche parte, sono certa di avere qualche spicciolo e dovrebbe bastare se non addirittura avanzare.


Mi dirigo verso una focacceria alla ricerca di un pasto non troppo povero ma al contempo che non costi troppo
anche se come al solito finisco per spendere più del dovuto; la colpa stavolta è ricaduta su di un dolce che al sol vederlo mi prende alla gola: una brioche al cioccolato.
Non penso, la compro, ringrazio, esco.
Sono uscita dalla focacceria ed oltre al mio pranzo in mano ho anche il mio beneamato dolce, o almeno così lo immaginavo, e adesso non mi rimane che attendere e aspettare, aspettare, aspettare.
Sento come un vuoto nella mia testa, un buco, un piccolo foro che sta iniziando a formarsi e allargarsi piano a piano con l'andare dei miei passi mentre cammino lentamente nell'attesa.

Trovo un posto dove stare e mi sistemo in una panchina appollaiandomi cautamente come un animale nella sua cuccia, pongo giù la mia borsa e sistemo giacca e guanti da parte così da non disturbarmi; riprendo la mia borsa e ne tiro fuori la focaccia che mi ero precedentemente comprata e posta al sicuro.
La mangio, faceva schifo.
Rimango delusa ma continuo e persisto in attesa della brioche, finisco quel che mi rimaneva da consumare e la guardo, ancora avvolta dal sacchetto, e poi.. la ignoro.
Per non so quale ragione esatta inizio a schivarla, ogni volta in cui mi ci cade l'occhio poi mi si gira la testa sul verso opposto, appena ci penso la mia mente tenta forzatamente di dissolverla dalla memoria.
Non ne voglio più sapere niente.
Ma perché? fino ad un attimo fa ero ad ammirare quella sua superficie dolcemente dorata e profumata ricoperta da un manto delicato di zucchero a velo che va a decorarne la sua docile curvatura, ed ora se oso soltanto guardarla mi sale il disgusto. La scruto con disprezzo come se a fianco a me ci fosse della spazzatura, anche se molto probabilmente avrei preferito di gran lunga essere attaccata ai bidoni della spazzatura che stare accanto a quella "cosa".


Ho sbagliato, ho evidentemente fatto un errore che ancora non riesco a riconoscere. Ma come posso essere così cieca, così tanto ignorante da rendermi arrogante? È mai possibile che io possa essere così tanto ottusa da non voler capire? Eppure quel che speravo di comprendere non arrivava, non importa quanto mi spremessi le meningi nel cercare un accusa sostenibile, un fattore oggettivo che fosse in grado di determinare e giustificare quella situazione così ambigua. Continuo a pensarci e ancora non riesco a capirne il perché.
Avrò forse paura che abbia un cattivo sapore? O forse mi sono saliti i primi pensieri di pentimento per aver speso dei soldi in un qualcosa che avrei potuto benissimo evitare, in fondo non ne avevo alcun bisogno, è stato un acquisto futile e completamente fine a se stesso, privo di alcuna ragione a me logica. 
A che mi serve una brioche, a che mi serve dovermi ingozzare di dolci, spendere soldi e poi rimpiangere le mie decisioni subito dopo aver ormai fatto il grande passo, così grande che mi ha fatto cadere per terra nel fango del mio dispiacere. Perdonami bambino se quando con grandi speranze sei entrato in focacceria con tua madre per ritirare quello che era il tuo buon premio giornaliero per poi non trovare niente, perché io giustamente non ho soltanto preso una brioche che non riesco nemmeno a toccare, ma ho addirittura preso l'ultima che c'era, convintissima di aver fatto la scelta giusta.
"Non la prendo quasi mai".  Falsa.
Non ce la faccio più, la situazione è diventata insostenibile e ancora non sono riuscita a venirne a capo.


Il tempo mi è scappato di mano ed adesso mancano solo pochi minuti al mio appuntamento.
Mi sistemo ed inizio ad incamminarmi verso il luogo d'incontro con in mano il sacchetto freddo e lievemente unto della brioche; cammino per un po' finché non arrivo a destinazione e solo lì mi accorgo che mai sto vergognando. Ma cosa credevo di voler fare con quel volgare e lurido sacchettino appeso alle mie avide dita come una croce al collo di un bestemmiatore? Che disonore che faccio cadere sulla mia figura, già di poco spessore e di scarsa fiducia, oh con quale coraggio credevo veramente di aver fatto la scelta giusta? La gente da tutte le parti dovrebbe iniziare a deridermi e burlarsi di me e della mia sfigata sfacciataggine, basterebbe guardarmi in faccia ed avvicinare le sopracciglia l'una all'altra in un ghigno, fatemi pentire voi misericordiosi ficcanaso, guardatemi e giudicatemi come fate sempre, criticatemi!

Come posso fare per farmi perdonare? Innanzi tutto la nascondo, non posso stare un secondo di più con quella robaccia fra le mani! Dovrei darla via, ora mai che è mia, a qualcuno che la possa apprezzare veramente.. alla mia amica che sto per incontrare? Ma no, lei è allergica al cioccolato, per quanto le possa piacere e continui delle volte a mangiarlo io mi rifiuto di darle qualcosa che possa farla stare male, inoltre non credo che l'accetterebbe mai perché è troppo modesta. Stessa storia se la portassi a casa e la dessi a mia sorella che è intollerante al lattosio, sarebbe di cattivo gusto darle qualcosa che lei ogni giorno cerca al meglio di evitare. Allora a mia madre? Chi prendo in giro, non la darei mai a lei, in più con sta sua fissa della dieta finirebbe solo per pentirsene e a lamentarsi con me di me; e non la darei nemmeno a mio padre che se la ficcherebbe in bocca per poi inghiottirla senza manco masticarla, la mangerebbe così di fretta che ne cancellerebbe in un istante tutti i miei tormenti, non posso sopportare che una cosa sulla quale mi sono arrovellata con così tanta costanza venga sminuita.
Allora sono io che mi sto vittimizzando, creando quest'atmosfera tesa e di confusione andando ad accusare la povera brioche che non ha fatto nulla e nulla farà mai perché inanimata, casomai sono io ad averla utilizzata per i miei giochetti pseudo psicologici al solo fine di scriverne una storia ed intrattenere il lettore in questa misera storiella da quattro soldi.
Sono Io la causa di tutto, delle mie discordie e dissapori! Sono Io il vero colpevole di tutta questa fandonia! Sono IO la causa!

...

E poi è arrivata la sua chiamata, "dove sei?". Ora arrivo.
Alla fine il mio beneamato dolce lo abbandonai nella mia borsa, nel caos della mia sporcizia, isolato dai miei pensieri.
Me ne sono ricordata solo la sera, più tardi. L'ho ritrovata tutta schiacciata e nel vederla così penosa mi son detta "che scema".
L'ho mangiata e non era niente di che, com'è giusto che sia, nulla di particolare per la quale tormentarsi. 

Paola Pippia

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