Ero a una festa...

Hayez, Accusa segreta                                      
Ero ad una festa. Ero uscita sul balcone a prendere una boccata d’aria, quando ho deciso di aprirla. Avevo trovato la lettera pochi giorni prima, sul tavolo della cucina. Non so perché l’avessi tenuta, forse nel profondo sapevo già tutto.

“Dolce Edoardo,
spero che questa lettera ti trovi in un momento di gioiosa solitudine; non perché io ti voglia solo, ma perché il suo contenuto non è dei più gioiosi. Nel momento in cui la leggerai, io non ci sarò più; Edgar ha scoperto tutto e sta arrivando da me. Ti prego di non incolpare te stesso perché entrambi sapevamo che questa storia non sarebbe durata. Sappi che in queste settimane io sono stato un fiore, e tu il sole che mi donava l’energia. Sei stato la mia linfa vitale, la mia ragione per andare avanti. Voglio che tu sappia che nessuno sparo potrà farmi male quanto l’averti tenuto segreto. Ti amo.
Per sempre tuo,
Gabriel.”


Leggevo ogni parola con attenzione, stringendo nella mano il velluto scuro del mio vestito, mentre il vuoto nel mio petto si apriva sempre di più fino a diventare un vortice che consumava ogni emozione e mi impediva di reagire. Non mi sono accorta che stavo piangendo finché le lacrime non mi hanno offuscato completamente la vista. Mi sono passata una mano sul viso e ho tentato di ricompormi. Avevo una mano che stringeva il mio vestito e l’altra che impugnava la lettera, quando ho sentito la voce di mio marito chiamarmi da in fondo al corridoio: “Lenora, tesoro, entra in casa! È l’ora del buffet e inizia a far freddo!”

Ho deglutito e alzato la testa lentamente; la mia faccia si è contorta in una smorfia, uno scarso tentativo di un sorriso. “Arrivo subito, Edoardo”. La mia voce non sembrava appartenermi, mi sembrava di essere uscita dal mio corpo, di essere la spettatrice di una vita che non era la mia, perché tutto questo non poteva essere reale. Prima di entrare ho nascosto la lettera dentro il corsetto.

Quando sono entrata, tutti stavano conversando amabilmente. Ho dato un bacio a mio marito e ho incrociato lo sguardo di Edgar. Pensandoci, non credo di aver mai visto uomo più ripugnante. “Dov’è tuo fratello?” gli ho chiesto con una voce piatta come un’afosa notte estiva.
“Gabriel è un uomo vanitoso e superficiale,” ha risposto lui con la sua fastidiosa voce nasale; “probabilmente si starà ancora preparando; oppure ha deciso che non eravamo meritevoli del suo tempo ed è andato ad ubriacarsi in qualche sciatto locale.”.
Con gli occhi fissi su di lui ho lasciato che le mie labbra si incrinassero leggermente all’insù, e con impressionante compostezza ho sentito la mia voce dire:
“Mi dispiace sparire ti nuovo, ma ho paura di dover utilizzare il bagno.”.

Mi sono girata verso il corridoio e quasi automaticamente ho cominciato a camminare. “Come sei misteriosa stasera, tesoro!” ho sentito dire Edoardo. “Una donna inafferrabile” ha ribattuto Edgar. Mentre mi facevo strada tra gli invitati per raggiungere il corridoio ogni suono era attutito, e la mia meta sembrava allontanarsi ad ogni passo. Dopo pochi secondi che sono sembrati ore, ho sentito sotto la mia mano il freddo ferro della maniglia; ho aperto la porta e mi sono chiusa dentro lo stanzino buio, il mio volto colpito dalla luce della luna che entrava dalla minuscola finestra quadrata di fronte a me. Le parole di quella lettera rimbombavano dentro di me al ritmo del mio cuore come piccoli tamburi che, tutti insieme, creavano un frastuono.

Ho lasciato che le mie gambe cedessero e mi sono accasciata sul pavimento, il mio volto che pian piano si sottraeva a quel quadrato di luce e scompariva nel buio. Ho appoggiato la guancia bollente sul pavimento freddo e ho chiuso gli occhi, lasciandomi inghiottire dall’oscurità. Ho lasciato che la mia mano si spingesse verso il mio corsetto e ho afferrato una seconda lettera, stavolta indirizzata a me. L’avevo trovata insieme a quella di Edoardo. Dopo qualche minuto mi sono alzata lentamente, ho aperto la busta e dispiegato il foglio, mettendolo alla luce fioca per leggerne il contenuto; mi è bastato leggere le prime due parole:

“Dolce Lenora..."

Francesca Gado

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